Critica


ROBERTOMARIA SIENA 

Il lascito grandioso delle vicende storiche dell’astrazione lascia sul terreno due messaggi contrapposti con i quali un giovane pittore come Roberto Barberi deve fare i conti. La prima strada è quella ascetica e neoplatonica di Mondrian e Melevic; è la strada dell’abolizione del mondo e dell’approdo dell’arte sul terreno dell’ Essere che, come diceva Maestro Eckhart, tempori non subiacet.

La secoda via è quella del Kandinsky più vitalista e, successivamente, della febbre informale.

Roberto Barberi ha scelto con estrema decisione; la pittura per lui , è accettazione integrale del finito ed inserimento nella sua pulsante corporeità. Lo spiega assai bene, tanto per fare un esempio, Inverno del ’95. Ben lungi dal planare sul silenzio metafisico di luoghi innevati, il pittore toscano agita la materia la quale svela il suo interno colorato e un non esausto labirinto. Ovviamente Barberi non racconta nulla, dato che l’assioma da cui parte (e a cui sempre ritorna) è l’antireferenzialismo . Rivendicare però l’intransitività dell’opera non significa , per il nostro, prosciugare il linguaggio della pittura, bensì allargando al calore complessivo dell’esistenza. Se prenda in considerazione Tenero abbraccio ; i filamenti che compongono il “motore mobile” dell’intera opera iniziano a ruotare per interrogarsi reciprocamente sino all’amore e alla congiunzione vitale.

Se tutto ciò è vero(come è vero), allora è evidente che il sogno che l’artista evoca è quello della bellezza. Scandagliare infatti le pulsioni e le pulsazioni della materia significa auspicare la fisicità della pittura e, dunque, l’intenzionalità seduttiva di quest’ultima la quale sbocca nel rifiuto del rifiuto dello splendore del mondo.

Il fine ultimo è quello della costituzione di una “riserva aurea”, un luogo infinitamente ricco a cui far riferimento per compensare le perdite causate dai naufragi della storia. Questa “riserva aurea”, il lavoro del giovane pittore toscano si dimostra, si presenta come un’arma lanciata contro il riduzionismo, il concettualismo, il poverismo.

Osserva giustamente Jean Clair in Critica della modernità che “come svuotata in qualsiasi sostanza, quale ‘corpo’ l’opera d’arte moderna può ancora offrire alla nostra attenzione? Più il suo statuto, le sue frontiere, i suoi mezzi e il suo fine diventano incerti, tanto più imponenti e imperiosi diventano al contrario i sistemi per raccoglierla… Ed ecco che una vera e propria scienza museografica si mette in moto per delimitare un oggetto che si assottiglia sempre più”.

Ora il lavoro di Roberto Barberi punta a riempire, attraverso la pittura, ciò che è stato svuotato. Giustamente è la pittura che può compiere questa operazione, la pittura armata della sua opulenta esistenzialità, del suo odio per l’idea disincarnata. Certo Barberi è giovane e molto cammino gli resta ancora da percorrere; siamo convinti che saprà portare avanti il suo discorso perché è preda di una passione che non lo abbandonerà mai e che sosterà la sua fatica di pittore.

 

LUIGI MONTANARINI

“Ho avuto occasione di scrivere che se non ci fosse né l’azzardo né il rischio, non ci sarebbe l’arte. Credo che Roberto Barberi sia ormai legato a questo azzardo e a questo rischio”.

 

LODOVICO GIERUT

Il dato figurativo iniziale si è modificato, subendo ovvie trasformazioni, e oggi quei soggetti “d’acqua e di terra”, ai quali aggiungerei “di cielo”, hanno trovato un’equilibrata collocazione in tutta una serie d’opere dove spiccano recenti “Cave”.

Le carte e le stoffe, sapientemente manipolate, dove i rosa antichi, i rossi, gli azzurri fondi si sposano all’accentuato cromatismo od alla stesura di grigi perlacei, di bianchi appena intaccati da un’imposta materico, svelano e rivelano la storia millenaria del marmo. Il ritmo delle stagioni che lo ha portato a scoprire le armonie della montagna michelangiolesca, con i “tagli” di Carrara e quelli del comprensorio del Monte Altissimo dove il Genio fiorentino soggiornò a più riprese, s’insinuano distintamente in un ambiente dove la storia ed il racconto s’innestano, e gli umori ed i colori d’un universo di marmo, altro non sono che il ritmo stesso d’ogni composizione.

Le ferite, le carezze, gli accostamenti dell’uno e dell’altro elemento (i pigmenti, il sottile strato cartaceo , le iute, i collanti, la sabbia…) ne propongono pertanto un messaggio artistico di grande effetto, coniugato a quei “segreti” che egli ha saputo carpire ai luoghi incantati.

 

WANNA ALLIEVI

Ad ispirare Barberi sono le cave di marmo delle Apuane non gli ubertosi paesaggi ma ciò che sta nel “cuore” di queste montagne. Racconti di millenni, di stratificazioni, di segni, di colori che solleticano la fantasia ed il pensiero di questo artista. E poi il tempo, che ha sedimentato e scritto la storia di queste pietre.

E allora, le corrosioni, i solchi, le venature, testimonianze di grandi eventi, rievocano a Barberi l’animo umano. Le tracce, i corrugamenti, le pieghe di un volto sono per Barberi lo specchio della vita, la sintesi delle gioie e dei dolori.

A questo riconducono i segni e le cromie dei suoi dipinti elaborati nel grande silenzio che gli permette una profonda introspezione. Le cave, grandi ed accoglienti grembi materni, portano indelebilmente impresso nelle pareti la storia stessa dell’umanità.